Non lasciate che i bambini vadano a loro
In
questo lungo articolo ci occupiamo della pedofilia nella Chiesa
cattolica. La nostra Carlotta ne ha parlato con Federico Tulli,
giornalista da anni impegnato in materia, e con Francesco Zanardi,
della Rete L’Abuso. Nonostante la cortina di buoi creata dalla
Chiesa a tutela dei propri crimini, nonostante le tante chiacchiere
bergogliesche, ne esce unquadro impressionante della profondità
e della vergognosa “gestione” del fenomeno.
E si
pensi che il fenomeno è mondiale e dura da un paio di
millenni.
La pedofilia è un fenomeno che
furbescamente il signor Bergoglio ha evidenziato essere non esclusivo
della sua Chiesa, quella di cui è amministratore delegato, ma
comune alla società civile. Peccato che i dati che con
difficoltà trapelano dai felpati corridoi vaticani e dalle
mille chiese nel mondo ci parlino di percentuali almeno cento volte
superiori tra le sacrestie ripetto all’esterno mondo civile.
Dall’intervista a Federico T. emergono aspetti poco conosciuti
e vergognosi di questa millenaria pratica, che il Vaticano bolla come
lussuria e non come violenza contro i minori.
L’osannata
figura del signor Bergoglio, considerato perlopiù a sinistra
come il “compagno” di riferimento, quasi il nuovo Che
Guevara nell’era di Zingaretti e di Putin, si rivela per quella
che è: tra bambini tentatori con il diavolo a maneggiarli, e
preti a migliaia ospiti semi-clandestinamente in alloggi di proprietà
o comunque disponibilità vaticana, dove sottratti alla
doverosa denuncia alle autorità italiane vengono “curati”
per essere poi riciclati nella loro funziona pubblica di amorevoli
(quanto amorevoli) educatori e catechisti.
Per noi, la
questione non è certo Bergoglio.
Anche se non ne possiamo
più, di sentire un osanna generalizzato per questa persona che
già al tempo della dittatura militare in Argentina ha brillato
per la propria “assenza” e (di fatto) tacita complicità
con i governi dei generali responsabili di assassinii, sparizioni e
altre meraviglie.
Due millenni di Chiesa sul groppone
La
questione di fondo, per noi, è sempre stata quella della
presenza soverchiante, straripante del Vaticano nella e sulla vita
politica e sociale, italiana in particolare. Lo sappiamo benissimo,
la Chiesa cattolica, apostolica, romana, ecc. È un’istituzione
mondiale. Ma è evidente che chi se la trova da due millenni
sul groppone, come noi italiane e italiani, da una parte abbia
sviluppato maggiori anticorpi e dall’altra la debba subire con
quotidiana continuità.
Una volta, c’erano numerosi
filoni di pensiero e organizzazioni politiche che condividevano
questa nostra insofferenza e si impegnavano sul terreno
dell’anticlericalismo. Non ci riferiamo alla polemica contro il
pensiero religioso, la credenza in dio, i santi, le madonne, e poi i
battesimi, le cresime, ecc. Noi siamo per la libertà di
pensiero, che è sempre la libertà per chi la pensa
diversamente da noi. Punto.
Siamo ormai lontani mille miglia
dagli opuscoli di stampo ottocentesco su “Le 10 prove della non
esistenza di dio” e cose simili. È passata la stagione
del “se credi in dio sarai sempre schiavo”. Abbiamo
conosciuto le stagioni dell’ateismo di stato e/o degli stati
atei, a partire dal marxismo-leninismo-stalinismo che ha perseguitato
le chiese, salvo poi scendere felicemente a patti con i loro vertici.
Urss docet.
A noi interessa la libertà, individuale e sociale. Libere chiese in libera società: patti chiari, amicizia lunga. La società si riempia pure di chiese, sinagoghe, moschee, ecc., ma siano tutte e del tutto a carico dei propri fedeli. Nessuno sconto, nessuna sussidiarietà, nessun privilegio. Nessun concordato che regoli le relazioni, di fatto sempre a favore delle religioni.
In Italia a partire dalla nascita dello stato unitario, ci siamo ritrovati in una piccola e variopinta minoranza a mettere in luce i privilegi goduti dal Vaticano: socialisti di vecchio stampo, repubblicani (quando esistevano ancora, i mazziniani), liberali, liberi pensatori, radicali (alla Ernesto Rossi, non quelli delle marce che finiscono in piazza San Pietro). Tutto un mondo variopinto, laico, laicista (come di cono le Sentinelle e altre formazioni catto-fascistoidi). In gran parte fuori dai partiti. Questo mondo quasi non esiste più.
Quell’11 febbraio 1969 contro il Concordato e…
Il
movimento anarchico, tra i promotori venti/trent’anni fa dei
Meeting Anticlericali, resta tra i pochi, piccoli ma solidissimi
bastioni contro il clericalismo, l’abuso sessuale contro i
minori, le vergognose figure (anti-cristiane, lasciatevelo dire da
noi atei) dei cappellani militari, i permanenti favori alle attività
cattoliche, gli insegnanti di religione pagati dallo stato e scelti
dagli arcivescovi, i crocifissi nelle aule scolastiche, le madonne
piangenti negi ospedali, le sottane nere delle suore ovunque ci sia
dolore, la sofferenza, i vecchi con proprietà da sussumere e i
giovani virgulti da indirizzare.
Non è la prima volta che
da queste pagine parte un invito a non sottovalutare la Chiesa come
avversaria del progresso umano, come avvoltoio speculatore dei beni e
dei favori dello stato e della società civile, come grande
camaleonte ben capace di trasfigurarsi per continuare a svolgere le
proprie funzioni settarie con i soldi e peggio con l’amministrazione
di molti.
Alle centinaia di migliaia, alle milioni di persone
presenti più volte l’anno alle grandi manifestazioni
pubbliche della Chiesa noi opponiamo (la volpe e l’uva?) le
poche centinaia di persone che l’11 febbraio di 50 anni fa
sfilarono per le vie quasi deserte di Milano, era (allora) un giorno
di festività nazionale che ricordava una data luttuosa, il
Concordato e i Patti Lateranensi, l’accordo avvenuto l’1
febbraio 1929 tra la Chiesa cattolica e lo stato italiano, tra
Mussolini e Pio XI.
Quella mattina forze eterogenee come i
radicali, i repubblicani, i giovani liberali, i movimenti
studenteschi di alcune scuole, gli anarchici (tra cui Giuseppe
Pinelli e Pietro Valpreda, che il dicembre successivo marchiò),
qualche valdese, liberi pensatori e – in un’iniziativa
parallela – i cristiani del dissenso per il centro di Milano.
“Nè
chiesa né stato, né dio né padrone, Paolo VI
ritorna ad Avignone” gridavamo in tanti.
“E un pensier libero ribelle in cor ci sta”
Mezzo
secolo dopo ci ritroviamo a denunciare una delle pagine più
buie della Chiesa cattolica e lo facciamo con documentata evidenza,
per quanto possibile. Con rigore giornalistico e senza insultare
nessuno. In direzione ostinata e contraria ai molti bergoglismi
vigenti.
Al pensiero unico opponiamo, com’è nel
nostro Dna, il pensier libero.
* * *
Il giornalista Federico Tulli racconta di come la Chiesa sia da sempre impegnata a coprire il fenomeno, numericamente mostruoso, delle violenze sessuali su minori commesse dai sacerdoti. Per la Chiesa, e per il suo capo Jorge Mario Bergoglio, l’abuso di un bambino è un peccato di lussuria indotto dal diavolo. Non una violenza contro un essere umano. E delle responsabilità individuale dei sacerdoti (e di quella collettiva della Chiesa) non c’è traccia.
Intervista a Federico Tulli.
Carlotta – Sei stato il primo e unico giornalista ad aver condotto un’inchiesta competa sui casi italiani di pedofilia nella Chiesa. Su quest’inchiesta è uscito il libro “Chiesa e pedofilia. Il caso italiano” (L’Asino d’Oro Edizioni, 2014). ora hai firmato un nuovo libro-inchiesta che racconta cosa succede agli uomini e alle donne di chiesa che il Vaticano considera “in difficoltà”, ossia pedofili, stalker, assassini. Cosa rivela il tuo ultimo lavoro?
Federico
– Questo libro, scritto con Emanuele Provera, s’intitola
“Giustizia divina” (Chiarelettere, 2018). si tratta di
un’inchiesta sul modo in cui la Chiesa esercita l’azione
penale nei confronti dei sacerdoti che compiono reati, ma in realtà
si tratta anche di un’inchiesta su come lo stato italiano
esercita l’azione penale nei confronti dei sacerdoti.
Siamo
partiti da due domande: quanti sono i sacerdoti in carcere in questo
momento in Italia e che tipo di reati hanno compiuto? Queste domande
ce le siamo poste nel 2015 e l’inchiesta è durata
praticamente quasi tre anni. Le domande le abbiamo rivolte al DAP
(Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) che è
l’organo del Ministero della Giustizia che si occupa di
monitorare, anche a livello statistico, la popolazione carceraria. Ma
la cosa interessante è che il DAP non ci rispondeva,
nonostante avesse l’obbligo di farlo.
Alla fine, dopo due
mesi dalla nostra richiesta, la risposta è arrivata e diceva
che il Dipartimento non aveva quel tipo di informazione. Come se il
DAP non conoscesse la professione che svolgevano i detenuti prima di
entrare in prigione. Abbiamo insistito per un anno e mezzo, perché
sapevamo che il dato c’era.
A un certo punto abbiamo
ricevuto l’autorizzazione a rivolgerci direttamente ai 190
istituti di pena da noi individuati in Italia, e in anno e mezzo
siamo riusciti a ottenere una risposta da 125 amministrazioni
carcerarie. In 70 non ci hanno mai risposto sebbene fossero obbligati
a fornirci questo dato, richiesto in osservanza della privacy.
Avremmo potuto insistere una diffida ma abbiamo preferito non andare
oltre.
Dove finiscono i preti pedofili
Cosa
emergeva dai dati?
I dati che abbiamo raccolto dicevano
che in carcere in Italia, tra il 2016 e il 2017, c’erano cinque
sacerdoti e solo uno era rinchiuso per pedofilia. Un solo sacerdote
in carcere in Italia per pedofilia ci sembrava un numero
assolutamente esiguo e per nulla rispondente alla realtà. Da
fonti certe, infatti, sapevamo che ce n’erano almeno otto ed
era possibile che si trovassero negli istituti che avevano preferito
non risponderci.
Comunque abbiamo confrontato questo dato con
un altro; sapevamo che negli ultimi quindici anni in Italia sono
stati denunciati per pedofilia circa trecento sacerdoti, e di questi
almeno centoquaranta sono stati condannati dalla magistrature civile
in via definitiva per abusi su minori. La fonte di questo dato è
la Rete L’Abuso.
A questo punto la domanda che ci siamo
fatti è stata: dove sono tutte queste persone condannate per
abusi sessuali su minori, visto che non sono in carcere? Da questo
interrogativo è partita la seconda parte dell’inchiesta.
Lo
stimolo ci è venuto da un film di Pablo Larrain, Il club,
che si svolge internamente in una casa molto isolata dove all’interno
ci sono cinque sacerdoti, uno di questi è pedofilo, uno ha
collaborato con la dittatura di Pinochet, uno ha il vizio delle
scommesse, uno è cleptomane e un altro è omosessuale.
Questa struttura era utilizzata dalla chiesa cilena per far espiare
le pene ai sacerdoti peccatori; questi rimanevano all’interno
della struttura per un tempo non definito, lontano da occhi
indiscreti, non denunciati alla magistratura civile.
Vedendo
quel film ci siamo chiesti: ma non sarà che quel tipo di
struttura si trova anche in Italia ed è lì che vengono
sistemati i sacerdoti che non abbiamo trovato in carcere? In estrema
sintesi, la risposta è sì.
Da sempre, la Chiesa insabbia tutto
Quindi, che cosa avete fatto? Vi siete messi alla ricerca delle strutture?
Sì,
on Emanuele ci siamo messi alla ricerca per tutto il paese e abbiamo
realizzato il reportage che costituisce la spina dorsale del nostro
libro. Anche questa, come l’inchiesta nelle carceri, è
un’indagine giornalista inedita. Abbiamo trovato diciotto
strutture, ma sappiamo che ce ne sono almeno venti o ventuno. Nelle
sole città di Milano e Roma ce ne sono molte.
In questi
luoghi, come nel film di Larrain, la Chiesa cattolica italiana
sistema quelli che il Vaticano chiama “sacerdoti in
difficoltà”, è questa la dizione ufficiale. Si
tratta di case di cura, spirituale e psicologica, in cui vengono
sistemati anche i sacerdoti che hanno compiuto abusi sessuali su
minori. Per quanto riguarda la pedofilia, abbiamo scoperto che in
queste strutture transitano tre tipologie di sacerdoti che hanno
compiuto abusi: quelli per cui la magistratura italiana autorizza
misure alternative al carcere; quelli che sono lì perché
la “giustizia” ecclesiastica li ha “condannati”
per abusi e utilizza queste strutture per assisterli e curarli dal
punto di vista spirituale – perché per la Chiesa
cattolica l’abuso è un peccato, un delitto contro la
morale, un’offesa a Dio e non un crimine violentissimo contro
persone inermi – e poi dal punto di vista psichiatrico –
perché la Chiesa ha colto che un adulto che violenta un
bambino è affetto da una grave patologia mentale; e poi ci
sono quei sacerdoti che hanno compiuto abusi ma non sono stati
denunciati né alla magistratura ecclesiastica né a
quella italiana, perché magari hanno confessato o chiesto
aiuto a un altro parroco e per questo sono stati mandati in queste
strutture, il tutto in gran segreto.
Si tratta di veri e propri
casi di insabbiamento, una pratica piuttosto diffusa in Italia; per
questo una parte dell’inchiesta l’abbiamo dedicata alla
ricostruzone di queste dinamiche occultate.
La Chiesa
cattolica mantiene tutto segreto perché considera l’abuso
di monre un’offesa a Dio e non una violenza a un essere umano,
quindi ritiene di giudicarlo secondo la giustizia divina e non
secondo quella terrena. Per la Chiesa, la giustizia terrena viene
molto dopo. Nel caso italiano non viene mai. I vescovi italiani non
hanno mai collaborato e al momento continuano a non collaborare.
Come
si spiega, secondo te, l’altissima incidenza di casi di
pedofilia nella Chiesa, un’incidenza che sappiamo essere
decisamente maggiore rispetto alla pedofilia nella società
civile?
È possibile che questa maggior incidenza sia
legata anche al modo in cui la Chiesa cattolica concepisce i bambini
e la violenza su di loro, ossia – come hai detto prima –
un peccato commesso nei confronti di Dio e non un atto violento
contro degli esseri umani?
La
pedofilia ovviamente è un tipo di violenza che esiste anche
nella società civile e spesso avviene in ambito famigliare.
Consiste nell’annullamento della realtà umana del
bambino e si fonda sull’idea che il bambino abbia una
sessualità.
I pedofili credono che l’abbraccio o
l’effusione di un bambino sia un’espressione di desiderio
o una richiesta di atto sessuale. Ma noi sappiamo bene che nel
periodo prepubere, in cui gli organi genitali non sono ancora
completamente formati, anche l’identità sessuale non è
completamente formata; per questo motivo, fino a quando questo non
avviene, l’adulto che si avvicina a un bambino in un certo
modo, compie una violenza di carattere psicologico e fisico.
Nel
primo libro Chiesa e pedofilia (L’asino d’oro
edizioni, 2010) ho parlato delle conseguenze sulla vittima di abusi
sessuali, e per farlo mi sono rivolto a degli psichiatri. Quello che
mi ha colpito maggiormente è stata la spiegazione che ha dato
uno di loro: ciò che subisce un bambino vittima di violenza
sessuale è un omicidio psichico, perché il pedofilo
attacca la possibilità di realizzare la proprie identità
sessuale durante la pubertà e gliela distrugge. E siccome
l’identità sessuale è una delle caratteristiche
dell’essere umano, quando una persona se la sente distrutta,
può anche arrivare al suicidio. Quindi la pedofilia, oltre ad
essere omicidio psichico, può diventare anche omicidio in
tutti i sensi.
È
come se il bambino non esistesse
La
pedofilia di matrice ecclesiastica ha delle sue peculiarità.
Per la Chiesa, infatti, l’abuso è un peccato. È
un delitto contro la morale, è un’offesa a dio, è
la violazione del sesto comandamento “Non commettere atti
impuri”. Per cui, in sostanza, la vera vittima in caso di abuso
di minore è dio, non la persona violentata; se la violenza
avviene durante la confessione, come spesso succede, è il
sacramento ad essere stato violato, non l’essere umano, non il
bambino. Molte violenze avvengono durante la confessione proprio
perché c’è il vincolo di segretezza e tutto
quello che avviene durante la confessione è sottoposto al
segreto pontificio, e anche le violenze, anche gli stupri, non
possono essere rivelati se non al vescovo che poi parlerà col
papa.
Nelle leggi vaticane e nella mentalità della
Chiesa è come se il bambino non esistesse.
Voi
l’avete scritto in uno dei numeri scorsi di “A”,
che in Italia la violenza sessuale contro la donna e contro un
bambino è stata considerata un delitto contro la morale fino
al 1996, e quella era chiaramente una legge che veniva dal codice
Rocco, che era fascista e grondava di mentalità cattolica.
Questa mentalità la riscontriamo ancora nei tribunali,
dove in caso di violenza sulla donna c’è sempre l’idea
che sia la donna ad aver istigato in qualche modo la violenza
dell’uomo che non ha potuto trattenersi, e questo succede anche
con i bambini.
Questa cosa però viene detta troppo poco.
In ambito clericale, nei casi di stupro di minori, c’è
l’idea che sia il bambino ad aver istigato il sant’uomo;
c’è l’idea che in quell’atto sia subentrata
l’azione del diavolo, una cosa che ha detto anche Bergoglio
durante il sinodo sulla pedofilia.
Questo famoso papa
“progressista” è convinto, come lo era Paolo VI,
che il diavolo sia una persona che agisce per distruggere la Chiesa,
e che la pedofilia sia uno dei modi in cui la Chiesa viene attaccata.
In questo modo di ragionare scompare completamente la lesione
subita dalla vittima. Ma soprattutto c’è la
giustificazione di chi ha violentato, perché ha agito spinto
dall’influenza del diavolo, da una forza esterna.
Così
si nega ogni responsabilità personale.
Una
deresponsabilizzazione che ritroviamo in varie dichiarazioni di
Bergoglio. Ad esempio, in seguito al summit sulla pedofilia, tenutosi
in Vaticano dal 21 al 24 gennaio 2019, il papa ha dichiarato che è
giusto approfondire i casi di pedofilia, ma al contempo ha
sottolineato che la pedofilia non appartiene soltanto alla
Chiesa.
Per il momento in cui è stata fatta e per il
contenuto, la dichiarazione è suonata come un tentativo della
Chiesa di non farsi carico di un fatto oggettivo, cioè che
l’incidenza della pedofilia nella Chiesa è di gran lunga
maggiore rispetto alla pedofilia nella società civile.
È
assolutamente così. Ad agosto scorso, Hans Zollner, psicologo
membro della Pontifica commissione per la tutela dei minori che
esiste dal 2014, ha rilasciato un’intervista all’agenzia
dei vescovi (SIR) in cui dichiarava che negli Stati Uniti, dal 1950
al 2002, tra il 4 e il 6% della popolazione ecclesiastica ha compiuto
almeno un abuso su minori. E si è rivolto poi alla Chiesa
italiana dicendo di non pensare che da noi la situazione sia diversa,
quindi è bene correre ai ripari. Questo significa che nella
Santa Sede, a certi livelli, si ha un’idea di quale sia la
diffusione del fenomeno in Italia.
Il 4-6% è una
percentuale mostruosa. Nel libro abbiamo fatto un confronto e siamo
andati a contare le persone che sono in carcere per reati di natura
sessuale contro minori; si tratta di circa 1200 persone; 1200 su una
popolazione adulta di circa 47 milioni significa circa lo
0,025%.
Dallo 0,025% della società civile al 4-6%
della Chiesa cattolica significa circa 200 volte in più, uno
scarto gigantesco.
Comunque in Italia non esistono dati
ufficiali sula diffusione del fenomeno della pedofilia, anche nella
società civile, e quindi ci si chiede come si possa fare
prevenzione se non si ha nemmeno la percezione corretta del fenomeno.
E questo vale per la società laica e per quella ecclesiastica.
Quello che ha dichiarato Zollner mi è sembrato d’importanza
fondamentale.
Prima
hai accennato alla questione del diavolo. Hai detto che con Bergoglio
c’è stato un ritorno al passato, un ritorno
all’antropomorfizzazione della figura del Diavolo, che
s’incarna per rovinare la Chiesa.
Voi come avete
affrontato la questione del ritorno del Diavolo, un argomento che
sembra essere utile alla Chiesa per risolvere e spiegare tutta una
serie di problemi?
Il
capo dell’Associazione Internazionale Esorcisti, ad un certo
punto, ha dichiarato che mai nessuno come papa Francesco ha nominato
il Diavolo nel corso del suo magistero. E in effetti, andando a
rivedere i documenti ufficiali, già dalla prima settimana,
Bergoglio ha cominciato a riportare, nel linguaggio comune delle sue
omelie, allusioni continue all’esistenza del Diavolo come
persona. L’ha nominato decine e decine di volte.
Quello
che ci ha colpito, lo raccontiamo nel terzo libro-inchiesta – e
anche questa è un’indagine mai fatta prima da qualcuno e
che abbiamo svolto sul “campo” a viso aperto, senza cioè
nascondere la nostra identità e le nostre intenzioni – è
che lui non l’ha fatto solo in quanto capo della Chiesa
cattolica; ad Assisi, davanti a una platea di cinquecento capi di
Stato e di presidenti del Consiglio di tutto il mondo, ha parlato del
Diavolo come responsabile di guerre e carestie. In quell’occasione
parlava nella veste di capo di Stato, quindi anche da capo politico
Bergoglio ha introdotto questo tipo di discorso. Questo è il
modo in cui lui decifra certe questioni, che all’interno della
Chiesa sono molto critiche.
È stato sempre Bergoglio a
riconoscere e dare un bollino di qualità all’Associazione
Internazionale degli Esorcisti, e questo è un altro segnale
molto interessante. Nel 2014 l’ha riconosciuta come organo
ufficiale all’interno della Chiesa. Quest’associazione, a
livello mondiale, si compone di circa 300-400 esorcisti, di cui 240
si trovano in Italia. In Spagna ce ne sono circa 12, in Lombardia
circa 20. E in Lombardia c’è anche un numero verde per
posseduti, con un call center che risponde da lunedì a
venerdì.
Per scrivere la terza parte della nostra
inchiesta, dedicata appunto al Diavolo, siamo andati a frequentare un
master in Esorcismo che si tiene a Roma ogni primavera. Nel
frattempo, da quando è uscito il libro, il MIUR (Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca)
ha proposto agli insegnanti un corso di esorcismo dal costo di 400
euro, per individuare e distinguere eventuali ragazzini problematici
dai ragazzini posseduti.
Qual’è
il senso, secondo te, di far frequentare un corso di esorcismo agli
insegnanti?
La
partecipazione degli insegnanti al corso di esorcismo fa il paio con
un’altra cosa inquietante che riguarda i cosiddetti “bambini
iperattivi”. Se un bambino è particolarmente vivace,
adesso si tende ad inquadrarlo all’interno di una fantomatica
“sindrome di iperattività” che può anche
comportare una cura a livello farmacologico. Il corso di esorcismo
vuole mettere l’insegnante in condizioni di distinguere quando
c’è un sintomo di disagio psichico e quando c’è
la presenza del Demonio. La Chiesa, infatti, molto abilmente, fa una
distinzione. Non parla sempre di possessione demoniaca. Fino a un
certo punto parla di disagio psichico, poi se la persona presenta
determinate caratteristiche, allora parla di possessione demoniaca.
Le caratteristiche ella possessione demoniaca, secondo la
Chiesa, sono proprio quelle dei film: il posseduto parla una lingua a
lui sconosciuta, è in possesso di una forza sovrumana e riesce
a fare cose, a livello fisico, che normalmente non potrebbe fare.
Perché
avete seguito il master in Esorcismo?
Perché
tra i docenti di quel corso ci sono magistrati, docenti universitari,
avvocati, anche una poliziotta nella squadra anti-sette sataniche.
Siamo andati a quel corso per capire proprio come mai tra i docenti
ci fossero magistrati, avvocati e poliziotti, e più di tutti
ci hanno colpito due persone. Uno è un magistrato, che un paio
di mesi fa è stato arrestato per corruzione, e che al corso ha
esordito dicendo di sentirsi uno strumento della giustizia nelle mani
di Dio. La sua presenza al master, ha dichiarato, aveva lo scopo di
aiutare i futuri esorcisti a evitare denunce da parte delle persone
esorcizzate. Lo stesso faceva un’avvocatessa che aveva
preparato una manleva per gli esorcisti da far firmare alla persone
posseduta prima dell’esorcismo, praticamente per sollevare da
qualunque responsabilità l’esorcista e i suoi aiutanti
in caso di denunce per violenze e costrizioni fisiche.
Nella
nostra inchiesta ci siamo occupati di esorcismo anche per un altro
motivo, per l’idea e la mentalità della Chiesa di
ritenere il bambino abusato come strumento del demonio; quindi, se il
sacerdote compie quello che per la Chiesa è un atto sessuale e
non una violenza, quella violenza viene considerata un peccato di
lussuria determinato dall’azione del demonio attraverso il
bambino.
Frequentando il master di esorcismo abbiamo anche
scoperto che la stragrande maggioranza delle persone esorcizzate sono
donne. Un dato scontato se si considera che tipo di società
sia quella ecclesiastica.
La ripresa del diavolo serve chiaramente a sollevare i sacerdoti da ogni responsabilità. Inoltre, da quello che racconti – cioè dal fatto che siano le donne ad essere maggiormente vittime di esorcismi e dal fatto che, per la Chiesa, i bambini necessitino di essere controllati perché è possibile che siano posseduti – si capisce come il Diavolo venga utilizzato anche come mezzo di repressione e punizione.
Nel
documentario Liberami
c’è
una scena in ui due genitori portano il figlio dall’esorcista
perché a scuola fa casino, è troppo agitato e non
bravo. Il sacerdote mette la mano sulla testa del bambino, poi si
gira di scatto verso la madre e dice: è colpa tua, non sei una
donna di fede e in chiesa non ci vai. In un secondo il sacerdote ha
distrutto al bambino l’immagine della madre e ha detto alla
donna che il diavolo è dentro di lei.
E
questa è proprio l’idea che la Chiesa cattolica ha della
donna.
Alla luce di tutto questo, com’è possibile che Bergoglio riesca comunque a essere considerato un papa progressista?
La
stampa italiana ha riportato in maniera assolutamente acritica quello
che esce dai bollettini Vaticani.
Non c’è mai una
verifica di quello che dice il Papa.
E così non si
scoprirà mai che Bergoglio parla di “tolleranza zero”
per i pedofili, ma in realtà ritiene che il sacerdote pedofilo
abbia solo compiuto un peccato; che se il peccato è grave e
non c’è possibilità di espiazione, allora quel
sacerdote viene espulso dalla Chiesa, ma siccome tutto avviene in
gran segreto, la Chiesa espelle dal proprio organismo una metastasi
che viene immessa nella società civile senza che si sappia che
quel signore lì è un pedofilo. La Chiesa lo sa, ma non
lo dice a nessuno. E quel signore lì, che ora non è più
sacerdote, rimane comunque un pedofilo anche dopo essere uscito dalla
Chiesa e ora si aggira per la società.
In questo c’è
proprio la complicità dello Stato, perché il Concordato
tutela tutto questo, questa modalità di agire. L’articolo
4 del Concordato dice che l’autorità ecclesiastica non è
tenuta a informare quella civile quando viene a sapere di eventuali
reati compiuti da sacerdoti.
Quindi lo Stato è complice
della Chiesa. Lo stesso vale per la stampa italiana, che si
accontenta di sentir dire da Bergoglio “tolleranza zero”
senza farsi domande e presentandolo come paladino della lotta contro
la pedofilia.
Ma
per essere paladini, si deve anche fare qualcosa e Bergoglio non lo
sta facendo.